“Al giorno che promise si riconosce il buon pagatore.”
Giovanni Verga

Mantenere la parola data e fare ciò che si è promesso, è uno dei miei principi fondamentali.
La coerenza è ai miei occhi una caratteristica che traccia linee esplicative ed importanti nel profilo delle persone con cui mi rapporto.
Ho dovuto fare conti salatissimi con il bridge: ogni volta che non mantenevo un contratto mi sono sentita una fedifraga.
Coriacea come un armadillo, sono sempre stata poco incline a comprendere e giustificare chi prende impegni per poi non mantenerli. La dispensa ad una promessa fatta è concessa in casi in cui, è talmente palese l’impossibilità di poterla ottemperare, che non merita nemmeno che se ne discuta.
Motivo per cui ogni volta che sto per spendere la mia parola, prima conto fino a dieci pensando se posso permettermelo.
Apprezzo infinitamente il bridge, che con i suoi sistemi licitativi, cerca di rendere il più preciso possibile le dichiarazioni reciproche tra i due partner, comunicando forza e carte che hanno realmente tra le loro mani. Come nella vita, questo non mette al sicuro il contratto che si verrà a stipulare, le incomprensioni, gli errori e un’avversa distribuzione di carte possono ovviamente accadere; ma crea un rapporto di comunicazione, basata sulla fiducia e collaborazione tra i compagni, che rispecchia i miei principi.
L’enorme differenza nel promettere ciò che sogneremmo realizzare e quindi non ha alcuna garanzia di avverarsi e ciò che si è davvero in grado di fare, andrebbe specificata e sottolineata con un evidenziatore giallo fluorescente. Sogni o puoi? C’è una bella diversità.
Nel bridge esistono dichiarazioni invitanti e altre forzanti, che mettono nelle condizioni di valutare o far valutare la concretizzazione di un obiettivo comune. Nella maggior parte dei casi ambedue i partner, hanno modo di considerare se, il contratto finale, sarà una azzardo e include un’alta percentuale di rischio, oppure abbastanza sicuro e con un’alta probabilità di riscossione.
Mentre scrivo mi accorgo che mi sono infilata in un discorso che potrebbe prendere mille diramazioni e dare modo ad altrettanti approfondimenti. Esporsi nel fare promesse o credere e crearsi delle aspettative include talmente tanti risvolti, che potremmo fare congetture per molte pagine. Motivo per cui sono obbligata a restringere il campo e a concentrarmi su due specifici casi. Io e gli altri.
Io vivo la responsabilità delle promesse fatte come giuramenti sacri pronunciati davanti al mio Dio interiore. Ogni volta che non riesco a rispettarli, mi immagino il supremo giudice che mi governa, guardarmi con aria di profonda delusione e disapprovazione, facendomi perdere la fiducia in me stessa. (Per me non basta “uno bravo” ci vuole uno strizzacervelli con anche “roba buona”).
Per gli altri invece, da giustificatrice seriale quale sono, tollero stressandomi, diverse aspettative disilluse. Do molte possibilità, cercando di comprendere, tutti i possibili motivi che hanno ostacolato il buon esito del patto preso.
Poi quando il mio fegato raggiunge le dimensioni di quello di una megattera, non mi fido più nemmeno ad accordarmi per andare a prendere un gelato. Fine, stop, chiuso.
Gli inconcludenti hanno spesso sintomi comuni, solitamente non sono mai puntuali; possono avere vite di successo, ma raramente riescono ad avere collaboratori stretti, perché le loro priorità travalicano quelle di tutti e le vittorie riguardano esclusivamente la propria persona. Hanno memoria cortissima, che gli permette di cambiare a loro favore le parole spese che non hanno trovato riscontro. Convinti (senza saperlo) di essere come il Dio induista Trimurti, che nelle sue tre forme distrugge, ricostruisce e crea; hanno facoltà di illudere, fare e disfare.
Medito che, nel mio progetto per vivere in armonia, la coerenza è fondamentale e spesso, quando manca, è motivo di dispute e dibattiti.
La politica che tanto scalda gli animi, ha perso la sua coerenza da tempo e se dovessi prescrivere una cura, sarebbe la prima medicina che proporrei. Se tutti mantenessero fede alla parola data, sparirebbero la metà dei dissidi.
Alla fine di questo articolo, avrei voluto comprendere come diventare più “morbida”, verso me stessa e verso gli altri.
Invece credo proprio che mi terrò il mio fegato da megattera, la prostrazione verso il mio Io inquisitore, che mi frusta ad ogni promessa non mantenuta e continuerò a non fidarmi di chi per abitudine mi dice che verrà a prendermi alle 8 e alle 9 si sta ancora facendo il bidè.
Mi rilasso giocando a bridge, dove posso contare su dichiarazioni, che se mendaci e azzardate, vengono smascherate molto velocemente e il Dio giusto del bridge punisce in modo equo tanto chi le ha fatte, tanto quanto chi le ha subite.
Perché nella vita spesso chi ha l’abitudine a non rispettare le promesse, può dormire tra due guanciali, tanto difficilmente ci sarà modo anche solo di dimostrargli che la consuetudine al noncuranza, non solo danneggia gli altri ma anche se stesso.
Ebbene sì, sono morbida come una lapide di travertino, sotto la quale seppellisco il mio fegato e la mia tolleranza, tra un bel fiorire di promesse disincantate.
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